STUDIO ELYSIUM
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Ufficio registro impresedi Vicenza – Rea:
VI-392847
Capitale : 1000 €
Recapito
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Io. Un medico professionista. Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università Cattolica di Roma. Perfezionato in Medicina Tradizionale Cinese in un corso quadriennale di una delle migliori scuole italiane del settore, a Bologna, nella quale e grazie alla quale ho incontrato professori illuminati e dalla visione globalista. Insegnanti di grande spessore, italiani e cinesi. In uno spirito di collaborazione privo di pregiudizi e animato da una visione aperta e creativa. Ho incontrato persone, vissuto la transizione dalla convinzione di un pensiero unico a una visione aperta su infinite sfumature. Ho imparato da tutti: professori, assistenti, colleghi. Fino ai singoli pazienti.
Tutti mi insegnano qualcosa, ogni volta. Per questo, quando mi ringraziano dopo una seduta o dopo un percorso compiuto insieme, dico grazie anch’io. Una paziente, una volta, mi ha ringraziato per averla scioccata. Viveva una vita tranquilla, fatta di una quotidianità consolidata. Ritmi, azioni e pensieri le scorrevano addosso in modo assolutamente lineare, quasi vivessero al posto suo.
Aghi e parole, in un crescendo prima traumatico, poi via via più morbido e sinuoso hanno squarciato il velo.
Tutto è diventato più chiaro. I suoi bisogni, la sua identità, le passioni. Abbiamo dato nome alle emozioni, ripercorso la sua storia.
Abbiamo riordinato un passato, costruito un presente, posto le basi per un futuro che per lei sembrava già scritto e proprio nella lingua del passato. Abbiamo trovato insieme chi era, chi è, chi sarà. E non è ancora finita!
Nella più assoluta semplicità. Tutto il necessario sta in una borsa a mano. Le scatole degli aghi, ciò che serve per disinfettare e lavorare in piena sicurezza, carta e schede per raccogliere le informazioni e segnare la terapia in corso. Porto tutto con me: le parole (forse il mio strumento di lavoro più importante), il Pensiero (dove conoscenza ed esperienza si fondono, per poi applicarsi al singolo caso), le azioni (per me, essenzialmente, l’infissione degli aghi).
La seduta di agopuntura è un’esperienza a tutto tondo, composta di una fase di analisi, nella quale la mia formazione di medico occidentale integra perfettamente l’approccio olistico cinese in un momento di decodifica del tema che mi viene proposto; e di una proiezione terapeutica, che si concretizza nella scelta dei punti su cui agire. Il senso cinese della questione consiste nell’interazione con materia ed energia del corpo, rivolta al ripristino dell’equilibrio perduto.
Per noi occidentali, quei concetti risultano astratti e poco riconducibili alla realtà. Allora, mi piace spiegarli utilizzando strutture e funzioni a noi più familiari: il cervello e il sistema nervoso nel suo insieme; la pelle (dove concretamente si esercita l’azione immediata dell’ago); organi e visceri che portiamo dentro.
Come quando incontro una simpatica signora delle mie parti, che mi chiama mensilmente per una “ricarica”. Ormai abbiamo stabilito una ritualità consolidata e il vantaggio, per lei quasi ottantenne, è quello di mantenere un solido equilibrio di base, nel quale i farmaci salvavita che assume, incontrano perfettamente i miei aghi, oliando i meccanismi complessivi a mo’ di orologio svizzero. Abbiamo un protocollo terapeutico di base, poi, a seconda delle eventualità occasionali (la vita di un’ottantenne può essere meno piatta di quanto si possa immaginare!), modifichiamo, aggiungendo o togliendo.
L’Agopuntura è un trattamento molto plastico: la sua applicazione, un processo creativo molto simile a quello di un compositore ed esecutore. Scherziamo spesso, con i pazienti, su come la configurazione degli aghi e il mio stimolarli durante la seduta, ricordi l’esercizio musicale. Poi lei corrobora perfettamente quest’idea, perché in corso d’opera si lascia andare al canto.
Prima sommesso, appena accennato; poi più esplicito e vigoroso (suo cavallo di battaglia è il crescendo del Bolero di Ravel, ma affronta anche il cantautorato italiano degli anni ’70/’80). Inutile dire che adoro la sua leggerezza, figlia di un’età nella quale le preoccupazioni sono alle tue spalle; e che per quanto mi è possibile, l’accompagno, pizzicando gli aghi come corde di chitarra. Ogni tanto chiudiamo anche con un accenno di valzer, tanto per ribadire come affrontare il tempo e la vita intera.
Quando qualcosa non va. Quando sei stanco, sfinito, disorientato. Quando non dormi, quando non mangi, quando non riesci a liberarti. Quando hai voglia di comprendere cosa sta succedendo. Perché qualcosa sta succedendo e sembra che nessuno possa aiutarti. Allora, vieni da me, ci mettiamo seduti e cerchiamo di capire. Senza fretta. Il mio quando è aderente alle tue necessità.
La mia disponibilità è piena. Il tuo quando può essere adesso, d’impulso; o domani, dopo attenta riflessione. Come quando ho visto lui per la prima volta: era devastato dal prurito. Provava un bruciore tanto intenso, da portarsi a sanguinare, nel tentativo di placarlo a graffi e continue unghiate autoinflitte. Non subito, ma abbiamo trovato il perché. Abbiamo trattato la pelle, iniziando a sentire un po’ di immediato sollievo.
Ma il cammino era appena cominciato. “Se lo sa mio padre, mi dà fuoco!” Era tutto lì: la sua identità, ben chiara a lui stesso e il conflitto col mondo che la rendeva invivibile. Una suprema ingiustizia. Io purtroppo non posso cambiarlo, il mondo; né renderlo un posto migliore. Ma ce la metto tutta a che lo si possa abitare in modo proprio e originale. Tutti ne abbiamo diritto. Quando? Da subito!
Perché quando stai male, vuoi star bene. E se stai già bene, puoi star meglio. Perché un ingranaggio oliato, porta a un equilibrio ritrovato. Perché quel giorno, quella ragazza entrò portandomi il suo smarrimento. Non aveva ciclo da mesi. Le era stato prospettato un piano terapeutico farmacologico molto intenso e dagli esiti incerti. Poi lei era un po’ matta: voleva un figlio.
Perché mi scelse? Mi aveva ascoltato in un seminario didattico un anno addietro. Qualcosa, di quel mio discorso fatto in una fredda sera invernale; qualcosa, di quel mio parlare attoriale; qualcosa assolutamente indefinito, le era rimasto impresso. Era la Speranza. Io non faccio miracoli (purtroppo!). Ma certo metto a disposizione ogni mia conoscenza ed ogni mia energia. Mi rimproverano di non essere professionale, di essere troppo umano. Ma è perché son fatto così (come disse Jessica Rabbit in un vecchio film).
Abbiamo quindi riordinato tutte le informazioni che avevamo. Abbiamo ragionato insieme, abbiamo costruito un programma. Senza fretta, quello che dovevamo recuperare richiedeva il suo tempo. Ci siamo visti la prima volta in settembre. Nei mesi successivi è tornato il ciclo, resosi poi regolare dal gennaio dell’anno dopo.
Poi in febbraio è accaduto: segno “più”, nel test di gravidanza! E ora quel bambino, un bellissimo bambino, gioca ed esplora felice il mondo. Ricordando a me, per primo, perché faccio quel che faccio.
È una tecnica, non è una religione. Non viene chiesto alcun atto di fede. Tutt’altro! Venite scettici e troverete me ancora più realista. Vedrete come la fase diagnostica della Medicina
Tradizionale Cinese si integri perfettamente nel percorso di analisi razionale appreso nella Medicina Occidentale (la “nostra” Medicina). Il pensiero orientale aggiunge e sottolinea sfumature umanistiche, contribuendo a creare il substrato per quella “Medicina della Persona” ormai diventata paradigma (quanto meno auspicato).
L’uso delicato degli aghi completa l’esperienza, portandosi come innesco, quando si renda necessario un avvio o ri-avvio, o come grimaldello, quando si voglia sciogliere nodi. Poi mi arrivano storie dirompenti e io per primo ne vengo travolto. Quella di quel piccolo eroe bambino, che nei pochi anni nei quali ha illuminato il mondo intorno a sé, ha lasciato una traccia indelebile, che sa di eternità.
Ha ragione sua mamma: lui le è e ci è stato mandato. Cosa potevo fare, se non inchinarmi, davanti al suo racconto?! E piangere. Mi ha detto: “non faccio altro che piangere e tutti pensano io stia male!” Perciò mi hanno spedito qui da te. Così piango anch’io, anche ora che ci penso. Come quel giorno; come quando ho scritto una filastrocca per lui. Come ogni volta che ci penso.
Abbiamo fatto agopuntura nel nome di un bambino che non era fisicamente tra noi e lo abbiamo sentito fortissimamente reale tra noi. La sua è una storia bellissima, quelle lacrime sono e saranno sempre di gioia. E ci insegnano cos’è la vita. O cosa dovrebbe essere. Accogliamo il suo dono!
In un ambiente accogliente, quieto, sicuro. Dove sentirsi ascoltati e compresi. Dove poter portare le proprie istanze, i crucci, le domande; trovando risposte, soluzioni, speranza. Un dove che è ovunque. Io dico sempre che porto L’Agopuntura dappertutto, direttamente sul luogo del delitto.
Per affrontare e provare a risolvere. Come in un set investigativo, dove ogni particolare conta e ogni minuzia può essere essenziale. Sarà per questo che nell’approccio della Medicina Tradizionale Cinese la fase dell’incontro col paziente è chiamata “Interrogatorio”, e si muove in sintonia con le nostre attitudini occidentali.
C’è poi l’analisi delle tracce, identificabili nei segni e sintomi che mi vengono portati. Spesso sfumatissimi, ancora più spesso influenzati e modificati da terapie fisiche e farmacologiche in atto. Una cosa frequentissima nei pazienti cronici e nelle storie lunghe, nelle quali, a volte si è perso anche il capo iniziale della matassa.
Ma è lì che vogliamo arrivare, incamminandoci lungo un racconto esistenziale nel quale proiettiamo noi stessi. È lì, che vogliamo poi imboccare una strada diversa e liberarci. Ricordo una signora che aveva lavorato tutta la vita nella scuola come insegnante. E una volta terminata la sua missione, non aveva interrotto la sua attività, che prestava volontariamente all’interno di un centro di solidarietà cittadino.
Il suo problema era la pressione arteriosa ballerina, che la rendeva suscettibile di alti e bassi destabilizzanti. Era spaventata soprattutto dall’improvviso sopraggiungere delle crisi. Per questo, a volte, aveva paura di uscire o sentiva di stare per morire. Abbiamo cercato di capire dove fosse il problema … tutti dobbiamo morire! Ma non adesso! Aveva una terapia mal dosata, uno stile di vita con eccessive privazioni.
È venuto da sé lavorare per riportare tutto a un equilibrio che fosse per lei finalmente gratificante.
E ora so dove immaginarla: nel suo balcone, nei pomeriggi estivi, di quiete e cicale, che si abbandona alle sue fantasie …
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